L'attore francese è in concorso come regista, ma la sceneggiatura è esile. Decisamente all'opposto il film indiano della documentarista Payal Kapadia
Le mezze tinte non sono certo il forte di Gilles Lellouche. «L’amour ouf» che il popolare attore francese ha presentato in concorso come regista è un catalogo di esasperazioni ed eccessi che per 166 minuti bombardano occhi e orecchie dello spettatore, forse per mascherare l’esilità della sceneggiatura : Jackie e Clotaire si incontrano adolescenti ed è subito amore.
All’uscita Clotaire vorrebbe ritrovarla ma lei si è sposata e così torna sulla cattiva strada, finché… L’ambizione era quella di innalzare un inno all’amore, capace di superare incomprensioni e guarire violenze, ma tutto è raccontato in maniera così superficiale e mostrato con uno stile così urlato che le buone intenzioni scompaiono subito e resta solo un inutile campionario di vuote scene madri: lei che soffre, lui che soffre; lei che piange, lui che piange; lei...
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