Una mostra a Milano riapre la discussione sull’artista bolognese, famoso per le nature morte
nella sezione preferiti e sull'app Corriere News.Roberta ScorraneseIl pittore Domenico Cantatore raccontava che una volta, giunto in visita a casa di Giorgio Morandi, questi lo prese da parte e gli chiese: «Ma è vero che a Milano pagano anche ventimila lire per un mio quadro? Sono matti». Probabilmente l’episodio è autentico, uno dei pochi veri in quella nuvola di aneddotica che avvolge Morandi, insieme alla sua leggenda.
— è meglio mettere dei punti fermi. Fissiamo delle date, per esempio il 1910: l’anno in cui Morandi andò a Firenze e poi a Venezia per visitare la Biennale. Come due cardini di questa storia, ecco allora le figure in prospettiva di Paolo Uccello e le donne riprese in lontananza di Renoir — tra gli «ospiti» di quella edizione veneziana.
Perché a differenza della compiutezza delle mele e delle bottiglie di Cézanne, dove è lo spazio a definire le cose e queste si inscrivono perfettamente in una storia chiusa, i paesaggi e le bottiglie di Morandi sono un preludio, un cenno a qualcosa che non si ved. Quando osserviamo l’infilata di bottiglie vediamo anche la luce che le riveste con delicatezza ,.
, scatole. Le aveva scovate chissà dove, per lo più da rigattieri, si era innamorato di ciascuna di esse, le aveva portate a casa una ad una, per poi disporre in fila questi trovatelli quali suoi compagni di stanza, in via sperimentale, e con grandi speranze».È questo il grande salto della modernità morandiana: la metafisica che sconfina in una realtà emozionale riconoscibile, originale.
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